Hai il tempo e ti credi povero, diceva un vecchio proverbio; loro di tempo ne hanno poco o non ne hanno mai avuto abbastanza, eppure ci sono e respirano la vita. Chi sono? Sono i ragazzi di CasaOz, o meglio i nostri cinque piccoli grandi eroi, protagonisti del film di Avataneo. Supportati da un’altra protagonista non da poco: la famiglia, un baluardo, una fiamma, sempre accesa, sempre alimentata dalla voglia di andare avanti e dalla speranza, nonostante le problematiche continue che comporti la malattia. Ed è discutendo di malattia che il regista, presente in sala, accoglie il suo pubblico: “io di malattia non ne so molto, non avendola mai davvero provata sulla mia pelle, per fortuna, so che però mi fa maledettamente paura e schifo”, è per questo però, aggiunge, che ho deciso di realizzare questo progetto “per conoscere chi la conosce realmente” realizzando un documentario sui ragazzi che animano le sale dell’associazione Onlus, bagnata dalle acque del Po, fiume della nostra città sabauda. Completamente gratuita per chiunque avesse bisogno di aiuto, completamente luminosa per chiunque sia rimasto incastrato nel baratro del buio: CasaOz. “Ti puoi divertire e giocare con chi vuoi” questa è CasaOz.
Schermo nero, parole bianche e fredde che colpiscono nel cuore dello spettatore, fredde come neve ghiacciata ma d’effetto. Una parola: “diverso” (cioè che si discosta dalla norma) apre e percorre l’intero corso della testimonianza insieme ad interviste rivolte ai diretti interessati. “Era un come una grossa arancia, abbiamo scoperto poco tempo dopo che fosse un tumore maligno”; “sono io ad aver chiesto scusa a mio figlio disabile, e ad avergli chiesto di accettarmi nel suo mondo” sono queste alcune delle frasi che fanno da leitmotiv a tutta la storia. Donne, figlie a loro volta, ora madri che vedono i loro figli deperire e scivolare come polvere dalle loro dita sempre di più la creatura che hanno generato, come la madre di Micol; le flebo sono come frecce avvelenate eppure madre- coraggio, la madre di Pietro non smette di ridere. Un documentario toccante, che va visto, scandito dalle pulsazioni di percussioni che vanno a percuotere anche quelle del cuore; tante storie come puntini, che se uniti formano però un grande puzzle per domandarsi “ma oggi cosa ho davvero fatto per l’altro?”.