A tu per tu con Hamid Ziarati – intervista a uno scrittore che non si definisce né iraniano né italiano, ma essere umano!
Laureato in ingegneria, ma anche e soprattutto scrittore… facciamo prima però un passo indietro: chi era Hamid Ziarati da bambino?
Un piromane (ride immediatamente), facevo non poco casino, nel senso che ero un bambino molto vivace e spesso finivo in castigo. I miei fratelli mi chiudevano in camera e una volta dentro c’era ben poco da fare, ecco che mi ritrovavo a fissare gli altri bambini fuori dalla finestra e a leggere.
Leggere. È così che è infatti iniziata la mia passione per i libri e per la letteratura.
A tal proposito, cos’è per te SCRIVERE?
Sorprendermi. Spesso quando scrivo partorisco cose che non pensavo nemmeno di avere dentro di me. Scrivere è poi impormi di far vedere il mondo da un altro punto di vista.
Hamid, hai lasciato il tuo paese natale, l’Iran, quando eri poco più di un ragazzino, che rapporto hai dunque, con il tuo passato?
In realtà alcun rapporto “tragico” come spesso e facilmente si possa arrivare a pensare, vista la mia situazione. Quando penso al passato penso all’esperienza. Già perché il mio passato è un’esperienza; certo ho commesso degli errori che ora non ripeterei, ma non sarei chi sono adesso!
Uno dei leitmotiv del Sottodiciotto Film Festival oltre all’amicizia e alla speranza, è il viaggiare e la volontà di conoscenza che ne consegue; qual è stato il viaggio che ti ha fatto sentire libero per la prima volta?
Avevo dieci anni, dovevo andare dai miei nonni. Quattro ore di pullman, quattro ora di libertà. Ovviamente mio padre molto preoccupato mi aveva fatto sedere vicino all’autista, nei primi posti, e all’arrivo c’era già mio zio ad aspettarmi, con mezz’ora di anticipo! Mi sono però divertito a immaginare cosa voleva dire essere davvero adulti.
Spesso noi giovani incorriamo in affrettati giudizi quali “mammoni, pigri, e privi di iniziativa”, consapevoli che ormai ci avviamo in una società dove siamo noi a dover pagare per lavorare e non più il contrario, personalmente parlando conosco ragazzi che sono tutto l’opposto del “bamboccione” e che anzi sono disposti a investire il loro tempo, sovente e volentieri anche gratuitamente in svariate attività, pur di non smettere di credere in quello che fanno; che ne pensa però lei di questi “giovani d’oggi”?
Sono d’accordo con lei, spesso però i ragazzi si lamentano senza cambiare davvero le cose, mancano i fatti; le rivoluzioni come quelle del ’68 ce le scordiamo oramai… Sì c’è stato il movimento delle pantere nere negli anni ’80 ma il fuoco si è spento. Forse dovreste fare di più. Sovente si parla, come poco fa in sala conferenza, dei problemi che avete, come quelli con la scuola, ma poi minuti dopo finite per addormentarvi; dovete invece reagire anche se non è facile.
A proposito dell’incontro che si è svolto pochi minuti fa, incentrato sull’ “imparare ad imparare” e sull’importanza delle parole, quale parola ha dominato il tuo essere sino ad ora?
Respirare. Imparare è come l’atto della respirazione, è un automatismo dunque è necessario.
Per concludere la classica domanda è d’obbligo Hamid: progetti futuri?
Eh… ancora mi tocca capire cosa fare della mia vita, direi che è sufficiente come progetto, no?!