Ayiva lascia la sua casa in Burkina Faso insieme ad Abas, il suo migliore amico. Nei loro occhi lucidi non brilla una meta, ma solo l’ondivaga certezza di dover affrontare, insieme ad altri compagni di viaggio improvvisati, la crudeltà del deserto e l’odissea del mare, che inghiotte sogni e speranze nel suo silenzio assordante. Un lampo nel cielo, la motovedetta della Guardia Costiera, poi, finalmente, l’Italia. Ayiva approda a Rosarno, un comune calabrese famoso per i suoi agrumeti e per lo spadroneggiare della ‘ndrangheta. Tra osteggiamento e integrazione, sfruttamento e una carità un po’ troppo compiaciuta, Ayiva ha un solo obiettivo: lavorare e ancora lavorare, per poter mantenere la famiglia lontana.
I migranti, più volte vittime di episodi di intolleranza e aggressioni da parte della comunità locale, non sono più in vena di chinare la testa e reagiscono violentemente alle provocazioni. Se volessimo trovare una pecca a questo film, sarebbe quella di mostrare poco, o non mostrare affatto, il punto di vista degli abitanti di Rosarno, ma questa scelta registica è giustificata dal fatto che il film non vuole essere un resoconto dettagliato dei fatti, ma la cronaca interiore di una persona che deve pagare caro il prezzo della sua libertà.
Jonas Carpignano, al suo lungometraggio d’esordio, riesce comunque nel suo intento: raccontare in maniera efficace la determinazione e il dramma di queste persone invisibili, e lo fa con piglio documentaristico ma soprattutto con estrema dolcezza ed empatia.